Marocco - tra Fes e il Mediterraneo

Marocco, il nord...

Già da tempo avevo in mente di mettermi sulla strada per andare a scoprire le città imperiali del Marocco. La curiosità è nata dalle centinaia di chilometri che io e mia moglie, allora la mia fidanzata, abbiamo percorso sulle strade dell' Andalusia alla scoperta del tramontato impero Arabo.
Un volo economico e la mia voglia di scomparire sotto le feste di Natale hanno dato l’impulso finale ad una nuova avventura nel nord del continente africano.

Chi ha girato l’Andalusia in lungo e in largo non può non essere rimasto incantato di fronte allo spettacolo offerto dall'architettura “moresca”. Dei mori, appunto, gli arabi.

In quello stesso periodo, in Marocco, le famiglie regnanti costruivano i loro palazzi e, insieme, le loro città imperiali.  
Ve lo dico già da ora, non ho trovato molto di quello che pensavo di trovare, ma sono tornato avendo scoperto qualcosa di sensazionale!


Per farmi capire salterò subito alla conclusione scrivendo subito l’inaspettato epilogo: mentre stavo guidando tra Chefchaouen e Fes, tra le colline verdeggianti, strade disabitate e i piccoli paesi,  mi sono tornate alla mente delle parole lette su un libro di Alberto Angela sull'Antica Roma. L’argomento  riguardava l’aspetto che doveva avere la città di Roma sotto l’Impero Romano; dicevano più o meno così: “Per farci un’idea di quello che era Roma nei quartieri dove viveva la popolazione, bisogna andare nelle Medine dei paesi orientali di oggi.” Le Medine e l’intensa vita che ci gira intorno sono ciò che assomiglia di più a Roma durante l’Impero.


Con questa “nuova” consapevolezza ho cominciato a ricordare le diverse medine nelle quali ero già entrato e ad analizzare le sensazioni ed i ricordi sotto questa nuova luce. Così è divampata da subito la nostalgia per Tetouan e Rabat, dove i turisti ce n’erano veramente pochi e il contatto con la gente è stato più vero. Al contrario ho capito quanto fosse poco genuina la Medina di Chefchaouen, piena di turisti attratti dai bagliori del blu intenso o dalle nebbie del fumo.


Mi mancava ancora Fes, però, e la sua enorme Medina, patrimonio mondiale UNESCO. Avrei fatto di tutto per guardarla, viverla e provare a capirla con gli occhi di un qualunque romano di 2.000 anni fa. Ho passato, così, qualche giorno soprattutto tra la gente e questo, con i lati positivi e negativi che si porta appresso, è quanto di più importante il Marocco mi ha lasciato.

Partiamo dalla storia del viaggio: sono arrivato all'aeroporto di Fes poco dopo le 23 di un giorno di fine dicembre e l’ufficio di autonoleggio era già chiuso; non è servito a nulla lasciare il numero del volo al momento della prenotazione. Un dipendente del parcheggio, dopo avermi fatto una ramanzina dicendo che non era sua la colpa dei ritardi aerei, mi ha riaperto l’ufficio e mi ha assegnato un mezzo. Credevo avesse fatto tutta quella scena per una lauta e doverosa mancia, ma alla fine non l’ha voluta. Si è accontentato delle scuse che io, tranquillamente, ho porto, prendendomi pure le colpe del ritardo del volo.

Parto immediatamente alla volta di Meknes, la prima città imperiale che ho programmato di visitare. Arrivo lì che è l’una di notte e le strade buie del quartiere centrale, la labirintica Medina - che avrò modo di conoscere bene in tutti i giorni seguenti - mi mette soggezione. Poche persone in giro, pochissime automobili e, se si esclude un posto di blocco alle porte della città (frequentissimi qui in Marocco), c'è poca gente in giro.


Il primo incontro fortuito avviene con tre avventori di un bar chiuso, che dal buio dei tavoli stipati davanti alla porta mi avvicinano e mi chiedono dove volessi andare. Gli faccio vedere la prenotazione e uno di loro mi accompagna fino all'uscio. Saluto e ringrazio, ma questa cosa mi ha colpito. Vado a letto con un sorriso in faccia e un piacevole pensiero positivo su questo Marocco: “ma guarda un po’…”.



Meknes non è che offra molto, le porte della cinta muraria imperiale sono decorate con maioliche e sono di sicuro impatto, ma andando oltre a questo c’è rimasto ben poco. La piazza principale è un susseguirsi di bazar che vendono di tutto, da vasellame a ricambi per la casa, da tappeti a souvenir. Questi sono i famosi suq orientali.

Quello che c’è a Meknes, però, è una cosa che già dai giorni successivi ho imparato ad apprezzare e a cercare. A Meknes c’è soprattutto la gente del posto. Tutto quello che c’è in giro fa parte della “vita marocchina”: dai mercati ai musei, dalle strade alle case e, soprattutto, le persone. Tutto rivolto ad una platea strettamente autoctona.

Difficilmente ho trovato un posto così autentico in tutto il resto del viaggio ed invece è tutto quello che, a tratti anche inconsciamente, ho cercato.

Uscito da Meknes mi dirigo verso Rabat, la prossima tappa è la capitale del Marocco e il suo sguardo rivolto all’Europa.


Prima di arrivare al centro, situato a ridosso dell’oceano Atlantico, i viali che attraversano i quartieri periferici sono stipati di posti di guardia per la presenza del palazzo reale. Un dispiegamento di forze così ingente è probabilmente spiegato con il fatto che in Marocco c’è un regime autoritario che, anche durante la famosa “primavera araba” è riuscito in qualche modo a tener buona la pur focosa popolazione marocchina.
La Medina di Rabat, a differenza di Meknes e di altre città che ho visitato in seguito, è anche un bazar per i turisti. I prodotti “tipici”, dolciumi o tappeti, sono venduti negli stessi mercati in cui macellai e fornai mettono in vendita la loro mercanzia per una clientela prettamente autoctona. Siccome, però, le attrattive che offre la città sono altre rispetto al mercato della Medina, il mercato conserva comunque degli aspetti puramente genuini.


Oltre la medina, la vera attrazione di Rabat è costituita dalla Kasbah, l’antica cittadella. La Kasbah è un insieme di intricate vie pedonali, muoversi a piedi è un piacevole esercizio di orientamento, tuttavia, rispetto ad altri quartieri, la kasbah sembra troppo ordinata per dare l’idea di trovarci veramente in Marocco.
Anche camminando lungo l’argine del Bou Regreg, che tra poche centinaia di metri sfocerà nell'oceano Atlantico, si ha l’impressione di trovarci in una città europea, modello a cui, probabilmente, gli architetti si ispirano per l’ammodernamento di Rabat.

Per mettere piede in una Moschea, qui in Marocco, bisogna arrivare qui nella capitale, ma l’ingresso è permesso solo perché i ruderi del grandioso progetto Almohade di costruire la seconda moschea più grande del mondo (dopo quella di Samarra, in Iraq), sono rimasti a ricordo di un’epoca d’oro che, a causa di lotte per il potere all'interno delle varie dinastie, giunse presto al declino.

Neanche i corvi ed i comunissimi piccioni si azzardano a volare sopra il minareto, “protetto” da dissuasori di volatili. Ora la grande moschea incompiuta è stata adibita a Mausoleo dell'attuale famiglia imperiale. Qui riposano le spoglie mortali di Mohammed V e Hassan II, tispettivamente nonno e padre dell'attuale sovrano.

Da Rabat verso nord si percorre un’autostrada comoda e resa affascinante dai colori dell’inverno marocchino. Campi coltivati alternati a montagne di un verde rigoglioso sono i miei compagni di viaggio per tutta la mattinata. L’unico rischio che si corre, comunque rispettando i limiti di velocità (120km orari) sono i camion che, stracarichi sotto il peso oltre ogni limite, viaggiano in autostrada a velocità molto ridotte.


Salgo al nord, verso i confini con il mediterraneo e la Spagna, senza risparmiarmi una sosta al sito megalitico (!) di Msoura.

Una splendida giornata di sole e la campagna marocchina sono lo sfondo tranquillo di questo sito megalitico. Un piccolo edificio ed una recinzione, probabilmente un recinto per pecore, sono sorvegliati dagli abitanti delle poche case ed al mio arrivo luna solerte contadina chiama subito il “custode” per aprirmi il cancello. Si presenta un omino che avrà 80 anni ed, a gesti, mi fa capire che potevo tranquillamente entrare.
Le pietre che compongono il sito, probabilmente una sepoltura neolitica, in parte fungono da recinzione per una fattoria nascosta alle spalle del tumulo.
Non è che si impieghi molto a visitare Msoura, ma la pace e la giornata di sole mi fanno perdere più di qualche minuto a contemplare un “altro mondo”, così lontano dalla civiltà, ma uno di quei posti che, pur di trovarli, sarei disposto pure a perdermi.

Percorrere strade secondarie è l’occasione per entrare più in profondità nella vita della regione e, per raggiungere Tetouan, attraverso proprio zone che, con l’immaginazione, mi ero figurato remote e sperdute. Quello che mi aspetta lungo il viaggio è costituito da una comunità che, nonostante l’assenza di grandi centri urbani, brulica intorno a fattorie, villaggi e l’immancabile moschea che, con minareti piccoli ma riconoscibili, punteggiano il terreno.


Gente affaccendata in opere stradali, traffico di mezzi pesanti che, visti con i miei occhi tarati su standard occidentali, sembrano tutto meno che sicuri. Di sicuro viaggiano oltre il limite di portata e questo, sulla strada, mette un po’ di soggezione.


Tetuan, presentata come una cittadina dal carattere andaluso, non delude in alcun modo le aspettative. La sua posizione tra il rif , le montagne che incoronano il Marocco sul confine verso il Mediterraneo (terra di coltivazione del papavero da oppio), e la spagnola Ceuta (pur se in territorio marocchino), ne fa un crocevia di scambi. Mi accorgo subito che, quanto dice la guida, è vero. Qui di turisti ne arrivano pochissimi. Mi avventuro immediatamente per le vie della Medina, alla ricerca del mio alloggio. Si tratta di un palazzo storico che sotto la dominazione spagnola era già trasformato in locanda.

Il mercato permanete della Medina è attivo e lo resterà fino a sera. Le solite bancarelle di carne, legumi, pane, vestiti, pesce e cianfrusaglie sono immerse in compravendite intense tra mercanti, mai improvvisati anche se in veste di ambulanti, e la popolazione locale.
La genuinità del paese e della gente è quanto Tetouan ha di più prezioso. Il tour della città finisce abbastanza presto, ma il contatto viscerale che si instaura con i marocchini è quanto di più bello mi porto dietro.
Poco fuori dal centro, palazzi in stile spagnolo sono il contorno che rende la città particolare nel suo genere. Allontanandomi dalla Medina incontro pure la prima chiesa marocchina tanto che la vista mi sorprende come uno spettacolo esotico.



Riparto presto da Tetouan, la destinazione è la famosa città blu del Marocco: Chefchauen.

L’immagine si ritrova in tutte le cartoline del paese ed è una meta molto rinomata tra i turisti. Il motivo è presto detto: non si tratta solo del colore caratteristico delle case, un blu molto intenso (trovata turistica relativamente recente), ma perché il paese si ritrova a ridosso del Riff. Queste alte montagne sono terreno franco dove coltivatori e spacciatori di Kiff (hashish) la fanno da padroni e la polizia non mette piede. Chefchaouen è ormai da decenni la meta di turisti interessati al bene locale.




Non mi dilungo sul soggiorno nella città blu, camminare per questi vicoli ha un chè di particolare, ma l’atmosfera “turistica” della zona mi ha un po’ scoraggiato ed è qui che ho sentito per la prima volta la nostalgia per la “vera” Medina.


Si sta avvicinando la fine del viaggio, l’ultima tappa è Fes, l’ultima delle tre città imperiali che avevo deciso di visitare, ma prima ho ancora tempo per regalarmi qualche scoperta.


Sulla strada farò tappa al sito romano di Volubilis, un avamposto del impero che, qui in Africa, costituiva il primo baluardo della dominazione romana oltre il Mediterraneo.
Il sito di Volubilis è quello conservato meglio di tutto il Marocco e, trovandosi nelle vicinanze della strada tra Fes e Rabat, è visitato da diverse comitive.
Non è difficile, però, ritrovarsi da soli nel silenzio di questo luogo, dove è passata la storia, dove le usanze e le tradizioni di Roma hanno trovato un oasi che, seppur lontana, ha prosperato per qualche secolo.


In lontananza si scorge la città santa di Molulay Idris, questo profeta, parente di Maometto, arrivò in Marocco e iniziò l’opera di conversione di queste tribù. Il suo sepolcro è venerato come meta di pellegrinaggio per i mussulmani marocchini tanto che 4 personaggi in questo santuario valgono come la visita alla mecca ordinata dai precetti del Corano.

Per i non mussulmani, l’ingresso al enorme santuario è vietato. Nelle immediate vicinanze, oltre all’immancabile bazar, trovano posto centinaia di marocchini che, dietro compenso, si offorno di accompagnarvi alle due terrazze panoramiche che permettono una vista privilegiata sulla tomba del profeta.



Fez

L’arrivo a Fez mi regala un misto di sensazioni. E’ la vigilia di Natale ed è la prima volta che lo trascorro lontano da mia moglie e da mio figlio. Non voglio perdermi d’animo, perché questa vacanza è stata una mia scelta, così esco immediatamente alla scoperta dell’enorme Medina.


Questo labirinto di vicoli è, insieme ad altre medine che ho già percorso, patrimonio mondiale dell’umanità. Si tratta della più grande area pedonale protetta dall’UNESCO e lo stato di conservazione, spesso precario, ne minaccia l’esistenza.

La mia buona volontà nel voler scoprire Fes è però rovinata dai ragazzi che incontro per strada. Mai così insistentemente si sono prodigati per offrirmi i loro “servizi” nel guidarmi tra le vie della Medina. Inutili i miei sforzi di fargli capire che era mia precisa volontà volermi perdere e voler conoscere ogni modo per “uscire vivo” di qua. Nel momento in cui i miei modi si facevano anche un po’ sgarbati nel voler rimanere solo, più di una volta mi è stato chiesto “allora cerchi un massaggio…”.

Il mio amore per la Medina, però, è stato sempre contraccambiato. Come spiegavo all’inizio di questo racconto, la vita che gira dentro a questi vicoli, nei negozi, nei Suq e Fonduq, che in questi giorni ho iniziato a conoscere ed apprezzare, è la linfa vitale di luoghi che, altrimenti, perderebbero la loro identità per consegnarsi definitivamente al consumismo occidentale.




Fes, di per sé, è una città enorme e lo scrigno raccolto nella Medina è quanto di più prezioso si può trovare in Marocco. Moschee nascoste ovunque, ma che brulicano ad ogni ora di preghiera. Le antiche scuole coraniche, le Madrassa; così simili all’Andalusia, che conosco così bene. I mercati con qualunque cosa esposta e venduta, a confermare l’enorme vocazione marocchina: quella del commercio. Ma anche l’universo degli ambulanti, gente che arriva dalle campagne ed espone su carretti instabili la loro mercanzia: frutta, verdura, ma anche vestiti e scarpe di seconda, terza o quarta mano.


L’universo dei “fast food” ambulanti, dove viene venduta frutta secca caramellata, lumache di terra (di cui i marocchini vanno ghiottissimi), kebab… ma anche carne, pesce, pane e tutto quello che gli assomiglia.
Ma Fes è soprattutto la patria della pelletteria e le concerie, patrimonio protetto dall’UNESCO, adottano ancora tecniche di conciatura vecchie di millenni.

Cosa aggiungere in più? Non saprei dare consigli gastronomici nonostante ho sempre mangiato benissimo in qualunque luogo sono stato. Confesso di non andare matto per il cous cous e, una volta assaggiato e lasciato per buona parte sul piatto (ma solo perché la porzione era enorme) mi sono quasi sempre dedicato alla tagine, di ogni tipo: carne, verdure, pesce, pollo….eccezionale in ogni forma che le ho visto assumere!

Programmi per il futuro? Mi piacerebbe un mondo visitare il deserto e le kasbah, disperse nel silenzio. Chissà che non sia la prossima tappa???


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